Contenzioso Tributario

Ristretta base partecipativa: vale anche se i soci sono altre società

Con società a ristretta base partecipativa si intende una società di capitali partecipata da un numero esiguo di soci, che, da un punto di vista operativo, si distingue da una società a capitale diffuso per il fatto che i soci possono avere un controllo diretto e permeante sulla società.

Dal punto di vista fiscale il legislatore non ha previsto una situazione di sfavore per le società che si trovano in questa situazione, ma giurisprudenza e prassi hanno inventato una presunzione semplice, su cui oggi si basano un gran numero di accertamenti nei confronti dei soci di società con numero esiguo di soci.

L’ipotesi è che, in una società a ristretta base partecipativa, nel momento in cui vengono contestati ricavi non contabilizzati o costi inesistenti, il maggior reddito conseguito dalla società (quello scaturente dalla contestazione) sia stato già distribuito ai soci, i quali a loro volta divengono oggetto di accertamento fiscale.

La logica vorrebbe che una tale contestazione restasse in capo alla società, il soggetto giuridico che ha conseguito l’eventuale maggior reddito, come previsto dal legislatore; secondo giurisprudenza e prassi, invece, è legittimo ritenere che tale maggior reddito sia stato distribuito, a meno che i soci non siano in grado di dimostrare il contrario.

La motivazione che sta alla base di questa contestazione è la presunzione che la ristrettezza dell'assetto societario implica un vincolo di solidarietà, e di reciproco controllo, dei soci nella gestione sociale, che non c’è invece in una società a capitale diffuso.

In principio questa presunzione semplice veniva applicata alle sole SRL, e si ipotizzava che questo fatto derivasse dalla natura di questo tipo di società, divenute, in conseguenza della riforma del diritto societario, una sorta di via di ibrido tra società di persone e società di capitali.

Con il passare del tempo però la presunzione è stata estesa anche alle SPA, e infine, oggi, persino al caso in cui i soci di una società oggetto di contestazione siano altre società, non importa se di capitali o di persone.

Questo tipo di contestazione è divenuta così frequente e dal perimetro di applicazione sempre più ampio, che, nell’ambito della riforma fiscale, l’attuale governo aveva previsto di disciplinare la fattispecie in modo tale da definire almeno il perimetro di applicazione e le fattispecie contestabili.

A qualcuno potrebbe sembrare strano il fatto che il legislatore avrebbe dovuto inserire nell’ordinamento una norma per mettere freno a delle contestazioni che non sono basate su altre norme, ma bisogna ammettere che l’intervento sarebbe stato auspicabile, quantomeno per ricostituire un livello minimo di certezza del diritto su questa questione. 

Questione, va detto, che frena la diffusione delle società di capitali, in un paese in cui notoriamente le imprese sono troppo piccole e tendenzialmente individuali.

L’ordinanza 16035 del 16 giugno 2025

Con l’ordinanza numero 16035, pubblicata il 16 giugno 2025, la Corte di Cassazione estende il perimetro di applicazione della presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di una società a ristretta base partecipativa anche al caso in cui i partecipanti alla società siano altre società, non importa se di capitali o di persone.

Secondo la Corte la presunzione “non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale”; ciò che deve essere valutato è se ogni livello societario, caratterizzato dalla ristrettezza della compagine sociale, costituisca o meno “un mero schermo rispetto alle persone fisiche, valido civilisticamente ma non opponibile al fisco”.

In ragione di ciò, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza 16035/2025 emana il seguente principio di diritto: “in materia di imposte sui redditi, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, la presunzione di attribuzione ai soci di maggiori utili, in corrispondenza di costi risultanti dalle scritture contabili ma disconosciuti, opera anche nel caso in cui la compagine sociale si componga esclusivamente di società, sia di persone sia di capitali, senza che ciò si ponga in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, allorquando il fatto noto è dato dalla ristrettezza dell'assetto societario che implica un reciproco controllo dei soci nella gestione sociale con conseguente vincolo di solidarietà”.

Il principio emanato, a prescindere dal fatto che l’idea possa essere condivisa o meno, può presentare delle difficoltà di ordine concreto, in quanto non è chiaro in che maniera, materialmente, una società, socia di un’altra società, possa dimostrare il fatto di non aver ricevuto utili extracontabili, dato che questi già non sono iscritti nelle sue scritture contabili.

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